Avete presente quando noi, abitanti dell’universo femminile, ci chiudiamo in un capannello divertite per commentare con scherno l’attitudine di certi uomini che amano giocare a ‘chi lo ha più lungo’ trasponendo il concetto in macchine di lusso, abbigliamento esagerato, atteggiamenti eccessivi?
Avete presente quando la stessa sera poggiate la testa sul vostro cuscino sorridendo e rincuorandovi di essere donne e di avere poca residua necessità di dimostrare qualcosa a qualcuno?
Preparatevi a rivedere le vostre congetture e ascoltate questa storia che ha dell’incredibile e che racconta di come ci sia stato un tempo (discretamente primitivo ma che arriva ai giorni nostri) in cui più grosso era e meglio era, anche per noi.
La storia comincia nel VII secolo a.C in Oriente, più specificatamente durante la dinastia Tang che guidò l’Impero Cinese per diversi secoli. A quell’epoca, la civiltà cinese era senza ombra di dubbio la meglio vestita. Sia per gli uomini che per le donne lo stile risultava evoluto, elaborato e stratificato.

Senza contare il fatto che i tessuti più pregiati derivanti dalla coltivazione del baco da seta ed i telai, già elaboratissimi, permettevano giochi di cromie e disegni che tiravano un bel calcio nel sedere ai sandali in fibra di yucca prodotti in sudamerica (per dire).
Facendola breve, Manolo Blanhik stava alla Cina come Contigo al resto del mondo.
Le donne godevano allora di moltissima libertà ed erano solite esprimere il loro grado sociale ed il loro prestigio attraverso la larghezza delle maniche. Dimenticate gli inclementi jeans skinny che vediamo oggi nelle vetrine dei negozi, all’epoca la concubina preferitca dell’imperatore Xuanzong era a dir poco obesa ed era lei a dettare i canoni della bellezza più esagerata.
Le maniche raggiungevano ampiezze inimmaginabili con un conseguente spreco di tessuti costosi a dir poco poderoso e la stratificazione di infiniti layers di tessuto era mirata a far sembrare obese anche le più mingherline di loro.
Dovendo la concubina imperiale svettare su tutte le altre e non potendo l’imperatore dilapidare un patrimonio per pagare l’ego delle sue maniche il tutto si concluse con una legge che stabiliva che le maniche non potessero essere più ampie di 40 cm, l’equivalente dell’allora in voga ‘piede cinese’.
Nemiche della burocrazia da sempre, le donne cinesi se ne infischiarono altamente fino a che la povera concubina obesa finì costretta al suicidio dallo stesso imperatore, desideroso di dimostrare al suo esercito che le palle al posto giusto le aveva ancora.
Attraversando diversi secoli la nostra passione per le cose grosse non diminuì affatto e finì per trovare nuovo sfogo nelle gonne delle dame spagnole del XV secolo con il nome di guardinfante. Strutturato in legno e metallo e dalla forma ovoidale esso serviva a glorificare la concezione di corpo perfetto in voga a quel tempo che tanto per dire si potrebbe sintetizzare con: busto da Kate Moss e gambe da Yang Guifei (concubina imperiale appunto).

Il nome derivava dalla credenza che la gonna così larga potesse proteggere i bambini che crescevano in grembo alle donne incinte. Inutile dire che ad un certo punto si raggiunse un grado di disagio tale che le donne, per passare attraverso le porte dovevano mettersi di traverso, le più benestanti procedevano invece a far allargare direttamente le porte stesse. Era impossibile dialogare seduta su una panchina con un’amica (Amplifon non esisteva ancora) e le interazioni sociali erano ridotte a due metri di distanza (diametro di riferimento di suddette esagerazioni). In poche parole l’indumento perfetto per il distanziamento sociale in caso di pandemia globale.
Dobbiamo aspettare l’epoca di Maria Antonietta perché il guardinfante si trasformi in panier, dalla forma più rotonda ed indossato con una stratificazione di sei sottovesti per garantire il volume desiderato.

La crinolina, cugina del panier e lanciata dallo stilista Charles Frederik Worth addosso all’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, divenne presto il must have di tutte le dame.
Dalla canna di bambù alle ossa di balena, dall’ottone al fil di ferro quasi ogni materiale fu sperimentato per la composizione di queste inclementi impalcature. I problemi erano molteplici, le ossa si rompevano e l’ottone, se sottoposto a forte pressione non tornava alla sua forma originaria. Immaginatevi di passare attraverso una porta con una gonna rotonda ed uscirne con addosso un rettangolo storpio.

Essa trovò lunga vita nelle corti di tutta Europa, raggiungendo i sette metri di diametro prima di iniziare il suo declino. Lo stesso Worth la sostituì a fine ‘800 con la demi-crinoline, piatta sul davanti e rigonfia sul sedere.

Ripresa e rimodellata in età moderna dalla Haute Couture divenne comparsa cinematografica su alcune delle passerelle più eccentriche, da Valentino a Dior.
Chi ne fece un elemento protagonista della propria filosofia creativa fu infine l’enfant terrible della moda parigina: Jean Paul Gaultier.
Insomma, la prossima volta che sarete intente a giudicare un uomo che si atteggia da ‘ce l’ho più grosso io’, ricordatevi delle vostre povere antenate che hanno speso le loro esistenze ad inciamparsi nelle proprie stesse maniche ed a non riuscire a sedersi o a passare attraverso le porte.
Dedicate loro un pensiero.
E tornate a giudicare con la coscienza pulita.





